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NET ECOLOGY

Tradurre l’immensità: l’arte di dare forma agli iperoggetti

di Laura Cocciolillo

Alcune entità fisiche sono talmente estese nel tempo e nello spazio da superare la scala percettiva e cognitiva umana. Si tratta degli “iperoggetti” – come li definisce il filosofo Timothy Morton – la cui esatta estensione o i precisi confini ci sfuggono: sono i fenomeni come il cambiamento climatico, l’inquinamento oceanico o la perdita di biodiversità, i cui effetti non sono visibili nel corso di una vita, ma si rivelano nel corso di decine di generazioni. Di conseguenza, manifestandosi su scale che eccedono l’esperienza diretta umana e ostacolano una piena consapevolezza delle conseguenze delle nostre azioni.

Sebbene vadano oltre la comprensione immediata, costruire nuove metafore e immagini per visualizzarli è fondamentale per affrontare le tematiche della crisi ecologica. Si pensi, ad esempio, ai gas serra che si accumulano nell’atmosfera o ai microplastiche che invadono gli oceani. Sono entità che non possiamo vedere con i nostri occhi, ma che influenzano profondamente la vita sul Pianeta. La capacità di visualizzarli consente di tradurre dati e processi complessi in immagini comprensibili, rendendo più tangibili le problematiche legate alla crisi ecologica.

Inoltre, la visualizzazione degli iperoggetti aiuta a superare la frammentazione del tempo e dello spazio. Questi fenomeni agiscono su scale che sfidano la nostra percezione quotidiana, ma gli strumenti di rappresentazione – siano essi artistici, tecnologici o scientifici – ci permettono di ampliare il nostro campo di visione e di cogliere le connessioni tra le azioni locali e i loro effetti su scala planetaria.

Di fronte alla vastità degli iperoggetti, il concetto stesso di “umano” subisce una profonda trasformazione. Riconoscere che facciamo parte di un sistema interconnesso, in cui le nostre azioni hanno conseguenze globali, implica abbandonare l’idea dell’uomo come centro del mondo. Visualizzare questi fenomeni ci obbliga a ripensare il nostro ruolo, non più come dominatori della natura, ma come esseri limitati nel tempo e nello spazio, minuscola parte integrante di un equilibrio fragile e interdipendente.

Di fronte alla vastità degli iperoggetti, il concetto stesso di “umano” subisce una profonda trasformazione.

Un aspetto cruciale è il ruolo che la visualizzazione gioca nel promuovere una nuova etica della responsabilità. Mostrare in modo chiaro e comprensibile l’impatto delle nostre azioni può stimolare empatia e consapevolezza, spingendoci a sentirci responsabili non solo per il nostro presente, ma anche per il futuro del pianeta. Questa sfida è in gran parte nelle mani degli artisti, che, attraverso l’uso delle tecnologie digitali, si confrontano con la complessità di questi fenomeni, ridefinendo la percezione umana e il nostro rapporto con la temporalità geologica.

È il caso di Hito Steyerl, che con Liquidity Inc. (2014) affronta la natura sfuggente e interconnessa dei sistemi globali. La video-installazione mostra la storia di Jacob Wood, analista finanziario che, dopo aver perso il lavoro nel crollo del 2008, diventa lottatore di arti marziali miste. Con onde generate al computer e immagini di uragani, l’opera usa l’acqua e il meteo estremo come metafore della fluidità dei beni finanziari, delle informazioni digitali e dell’instabilità collettiva: il concetto di “liquidità” descrive l’instabilità delle economie globali e delle trasformazioni ambientali, presentandole come iperoggetti che non possono essere contenuti o spiegati da narrazioni lineari. Così, l’opera diventa una riflessione su come la tecnologia digitale possa simulare l’esperienza di trovarsi immersi in sistemi troppo grandi per essere compresi.

Cecile B. Evans, Hyperlinks or it didn't happen (2014). Courtesy of the artist

E ancora, in Orbital Reflector (2018), Trevor Paglen porta l’arte nello spazio, rendendo visibile l’infrastruttura invisibile delle orbite terrestri. Il satellite artistico, progettato per riflettere la luce del sole, invita a ripensare l’impatto umano oltre i confini della Terra. La scultura – realizzata in polietilene leggero e altamente riflettente, contenuta in un piccolo satellite a forma di scatola – doveva essere lanciata nello spazio, diventando una stella artificiale luminosa quanto quelle dell’Orsa Maggiore. Il progetto di Paglen enfatizza l’idea di un’umanità che ha esteso il suo impatto ben oltre la propria comprensione, trasformando lo spazio in un iperoggetto che riflette tanto il nostro potenziale creativo quanto le nostre responsabilità ecologiche.

Le conseguenze geologiche e storiche dei test nucleari nel Pacifico sono invece protagoniste di As We Used to Float (2018) di Julian Charrière, un’opera che combina immagini sottomarine che catturano i segni lasciati dall’attività umana su ecosistemi un tempo incontaminati, fondendo la memoria storica con il tempo geologico. Attraverso un uso evocativo delle tecnologie digitali, Charrière invita a riflettere sull’irreversibilità delle trasformazioni ambientali. Il lavoro evidenzia come il concetto di “umano” si sgretoli di fronte alla vastità del tempo profondo e alla consapevolezza che le nostre azioni hanno effetti che si estendono ben oltre la nostra esistenza temporale.

Hito Steyerl, Liquidity (2014).

L’intersezione tra identità umana e temporalità digitale è invece centrale in Hyperlinks or It Didn’t Happen (2014) di Cécile B. Evans. Il video-installazione (con protagonista Philip Seymour Hoffman in versione CGI) riflette sulla digitalizzazione come un processo che trasforma la memoria e il tempo, creando entità collettive che persistono come iperoggetti nel cyberspazio. Attraverso una narrazione frammentata e non lineare, Evans rappresenta la fluidità dell’identità e della memoria nell’era digitale, evidenziando come le reti digitali amplifichino la nostra percezione dell’infinito. Con efficacia disarmante, quest’opera ridefinisce l’umano come parte di un sistema in cui la tecnologia digitale e le forze ecologiche si intrecciano, sfidando le tradizionali nozioni di autonomia e controllo.

In conclusione, le opere di questi artisti sono soltanto alcune di quelle che dimostrano come la tecnologia, nelle mani degli artisti, sia uno degli strumenti piuq efficaci per affrontare il tema degli iperoggetti, rendendo visibile ciò che eccede la comprensione umana. Attraverso metafore visive, rappresentazioni immersive e l’uso innovativo dei nuovi media, questi artisti ci invitano a confrontarci con l’interdipendenza tra umanità e ambiente, ridefinendo il nostro posto nel tempo geologico e nel cosmo. Oggi, la sfida di visualizzare l’incommensurabile ci costringe a ripensare non solo il concetto di umano, ma anche il modo in cui possiamo agire responsabilmente in un mondo dominato da forze che ci superano.

Laura Cocciolillo

È una storica dell’arte specializzata in arte e nuove tecnologie e in estetica dei nuovi media. Dal 2019 collabora con Artribune (di cui attualmente si occupa dei contenuti di nuovi media). Nel 2020 fonda Chiasmo Magazine, rivista indipendente e autofinanziata di Arte Contemporanea. Dal 2023 è web editor per Sky Arte, e dallo stesso anno si prende cura, per art-frame, della rubrica “New Media”, dedicata all’arte digitale.

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