Il 19 gennaio TikTok è stato temporaneamente bannato negli Stati Uniti in seguito a una legge che imponeva a ByteDance, società madre cinese, di cedere l’app a un’entità non cinese entro quella data. ByteDance non ha rispettato la scadenza, causando la sospensione dell’app. Tuttavia, il 20 gennaio, in coincidenza con l’insediamento del presidente Trump, TikTok ha ripreso le operazioni. Trump ha annunciato un ordine esecutivo che sospendeva temporaneamente la legge, concedendo 75 giorni per negoziare la vendita delle operazioni statunitensi.
Nonostante la ripresa, il futuro di TikTok negli USA rimane incerto. La Corte Suprema ha confermato la costituzionalità della legge che richiede la cessione dell’app, intensificando la pressione su ByteDance per trovare un acquirente adeguato.
TikTok, che conta oltre 1,5 miliardi di utenti globali, è sotto accusa da tempo per presunte minacce alla sicurezza nazionale, violazioni della privacy, rischi per la salute mentale e diffusione di fake news. Diversi Paesi hanno già intrapreso azioni: l’Albania l’ha vietata per preoccupazioni legate alla sicurezza e ai contenuti estremisti; in Venezuela ByteDance è stata multata per 10 milioni di dollari per violazioni della privacy e manipolazione dell’informazione politica. In Romania TikTok è stato accusato di interferenza con le elezioni presidenziali, favorendo, attraverso campagne filorusse, il candidato di estrema destra Călin Georgescu, il cui risultato elettorale è stato annullato dalla Corte Costituzionale.
Le accuse contro TikTok sono rilevanti, ma riflettono un problema che riguarda tutte le piattaforme social. Scandali come Cambridge Analytica o l’uso spregiudicato di X da parte del suo patron, Elon Musk, dimostrano che il potere di manipolazione non è limitato all’app cinese.
Bannare TikTok potrebbe essere una soluzione temporanea, ma rischia di non affrontare un problema strutturale: la mancanza di regolamentazione globale dell’ecosistema social. La vera sfida è garantire trasparenza, sicurezza e protezione delle informazioni su tutte le piattaforme digitali, indipendentemente dalla nazionalità. Solo con un quadro normativo condiviso si potrà affrontare il problema alla radice.
Alessandro Mancini
Laureato in Editoria e Scrittura all’Università La Sapienza di Roma, è giornalista freelance, content creator e social media manager. Tra il 2018 e il 2020 è stato direttore editoriale della rivista online che ha fondato nel 2016, Artwave.it, specializzata in arte e cultura contemporanea. Scrive e parla soprattutto di arte contemporanea, lavoro, disuguaglianze e diritti sociali.