The girlies love the vibes and that’s just what it’s about
di Viola Giacalone
Breve storia dello spirito del tempo, o di come le “vibes” sono passate dall’essere il linguaggio emozionale di una comunità affiatata all’alimentare un’intera economia.
In un articolo uscito su Spike Art Magazine ad agosto, intitolato “No Thoughts just Vibes” l’autrice Anna Kornbluh afferma che le “vibes”, le vibrazioni, sono lo Zeitgeist, lo spirito culturale del nostro tempo. Nel 2022 sul magazine “The Cut”, usciva un articolo in seguito ripubblicato dal New York Magazine, intitolato “A Vibe Shift Is Coming Will Any Of Us Survive It?”, che ipotizzava un movimento tellurico, un “vibe shift” che avrebbe sconvolto il modo di vestirsi, frequentarsi, ascoltare musica. Senza bisogno di scomodare realtà editoriali internazionali ed epoche culturali, un’amica con cui ho parlato poco fa, riferendosi al ragazzo con cui si frequenta, ha detto: “siamo a quello stadio della relazione in cui è necessario fare un vibe check”.
ci si riappropria della frivolezza e irrazionalità da sempre attribuite alle donne con auto-ironia, ma non solo: in un mondo di genocidi e guerre, un approccio alla vita che si basa sull’ascolto profondo delle proprie emozioni e di quelle degli altri, non risulta più così tanto frivolo.
Le vibes, intese come sensazione ed energia immateriale sono diventate di recente cosa solida e concreta al punto da alimentare un’intera economia, quella che una delle maggiori agenzie di comunicazione al mondo We Are Social * ha rinominato “vibe economy”: “a new generation of social content – one that connects people through complex moods and feelings, not just simple interactions.”
Il termine “vibes” nella sua forma anglofona divenne popolare a partire dagli anni ‘60, quando in occidente si diffuse il New Age, l’interesse per la psichedelia e le spiritualità orientali. Lo ritroviamo anche nella musica funk e soul e poi nell’hip hop e l’r&b degli anni ‘90 e 2000, con la stessa accezione del “groove” o del “flow”, un’altro tipo di spiritualità. Il mondo di internet viene giustamente accreditato per averlo riportato in auge, ma si può discutere che siano soprattutto le ragazze e la comunità LGBTQIA+ ad aver alimentato questo modo di leggere il mondo, creando un sistema di reciproca influenza e sinergie online, dai tempi d’oro di Tumbrl fino ad oggi. Il mondo delle sensazioni, dell’intuizione, dell’irrazionale è stato associato al femminile per secoli, un’associazione che è costata la vita a migliaia di donne nei tempi di caccia alle streghe, e uno stereotipo che è pesato su altri milioni di donne , escluse da ambiti diversi a causa della loro “natura sensibile”.
Oggi la “sensibilità femminile” viene rivendicata con orgoglio, come dimostra il rinnovato interesse per la stregoneria online, o il meme “i’m just a girl”, per il quale ci si riappropria della frivolezza e irrazionalità da sempre attribuite alle donne con auto-ironia, ma non solo: in un mondo di genocidi e guerre dettate da un presunto pensiero razionale, un approccio alla vita che si basa sull’ascolto profondo delle proprie emozioni e di quelle degli altri, non risulta più così tanto frivolo.
“I know the influence, I know the impact, and I know the vibes! The girlies love the vibes and that’s just what it’s about” è una citazione della it-girl e attrice Julia Fox diventata Leitmotiv in diversi spazi del web che riassume ben l’accezione semantica che le vibes hanno acquisito di recente. Dagli anni ‘10 su Tumbrl, le ragazze hanno creato comunità digitali basate sulla condivisione di immagini, attraverso i mood boards, letteralmente, “tavole degli umori”, creando “aestethics” molto precise, tutt’ora in voga su Pinterest e Tik Tok.
Le “vibes” che un certo profilo trasmetteva, erano un linguaggio intuitivo che permetteva di identificarsi e connettersi con i propri simili. Il termine “vibes” ha iniziato a diffondersi come hashtag per poi diventare un paradigma culturale anche al di fuori del web, imponendosi nel mercato dell’arte, del cinema, della moda e della musica, sia per quanto riguarda la produzione che il consumo. Come spesso avviene quando il mainstream tenta di assorbire un’avanguardia osserviamo una banalizzazione e mercificazione di qualcosa di potenzialmente “sovversivo”: in questo caso, un’unione tra ragazze e persone queer sconosciute che si connettono tra loro su internet senza scopo di lucro perché hanno le stesse intuizioni, che si tramuta in prodotti culturali forse più semplici, forse più superficiali, a volte imprecisi. Penso alla “vibes-izzazione” del cinema per eccellenza, le produzioni Netflix, nelle quali la cura per l’atmosfera comanda su sceneggiatura e trama. Il successo di una di queste serie è promessa di un filone di serie future che avranno la stessa vibe.
Penso ai brand di vestiti che attribuiscono “90’s vibes” a capi che in realtà emulano i 2000. La speranza è che la vibe rimanga alta senza che l’aspetto puramente estetico delle cose prevalga sull’effettivo valore di queste, che la vibe rimanga anima delle cose, e non qualcosa che i marchi di skin care possano vendere.
*Le vibes sono state decisamente “off” nella branca Italiana dell’agenzia “We Are Social”, che si è fatta conoscere per gravissime storia di molestie e chat sessiste da parte di alcuni esponenti nei confronti delle colleghe. è stato definito il #Metoo del mondo della pubblicità italiana. Un altro esempio di come le grandi imprese e aziende provino a nascondere dinamiche tossiche di lavoro dietro a un’immagine fresca e contemporanea.
Viola Giacalone
Viola Giacalone, o Viola Valéry, nata a Firenze nel 1996, è una giornalista, scrittrice e memer fiorentina. Si laurea in letteratura comparata alla Sorbonne Nouvelle a Parigi, con una tesi magistrale sulle nuove scritture creative del web. Prosegue i suoi studi in giornalismo culturale al City College di New York e all’Accademia Treccani di Roma. Attualmente collabora con diverse realtà editoriali, culturali e radiofoniche (Controradio Firenze, RadioRaheem Milano).