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Realtà virtuale e spazio urbano

di Laura Cocciolillo

Spazio urbano e spazio virtuale possono coesistere? E come può il digitale ridisegnare le strade, le architetture, le facciate dei palazzi? C’è un punto di incontro sorprendente e sottovalutato, tra le tecnologie immersive e l’arte urbana: nelle mani degli street artist, infatti, realtà virtuale e aumentata diventano strumenti in grado di ampliare esponenzialmente il raggio creativo dell’artista, svincolato da ogni legge della fisica (e dalle leggi burocratiche). Così, gli street artist, che per primi si erano riappropriati dello spazio urbano, diventano anche i primi a “colonizzare” e navigare lo spazio virtuale, nuova frontiera dello spazio pubblico. 

PROEMBRION su VRChat, 2020. Exhibition view, courtesy of the artist

Avanguardie elettroniche e street art si incontrano nel lavoro di V3RBO, al secolo Mitja Bombardieri, e del polacco Krzysztof Syruć, in arte PROEMBRION, entrambi protagonisti della mostra di arte urbana itinerante e collettiva In My Name, allestita a Treviso fino al 30 giugno e poi a Monopoli dal 19 luglio al 3 novembre. Per la retrospettiva, PROEMBRION, crea un ambiente da navigare liberamente, completamente astratto e dai colori sgargianti, in cui troviamo una raccolta delle sue opere, tutte inedite, che richiamano quelle che troviamo nello spazio fisico. Quella di V3RBO invece è una riflessione sul lettering tra passato, presente e futuro, che coinvolge tre diversi media: cinque lastre in alluminio (una per ogni lettera del suo nome), un’installazione video su tre schermi e infine l’esperienza in VR, che trasporta l’osservatore in un’altra realtà straniante.

V3RBO, installazione VR per la mostra In My Name, Treviso, 2024. Foto di Elena Pescarolo

Ma come si sono avvicinati al digitale dalla street art? V3RBO inizia a sperimentare soluzioni “ibride” tra arte e urbana e digitale fin dagli albori della sua produzione: “i miei primi disegni digitali animati li facevo con l’amiga 500 nel 1990, con l’idea infantile di creare videogiochi 8bit con l’amos basics”, spiega l’artista, “quindi ho sempre coltivato la passione per le arti digitali, parallelamente però a un entusiasmo fisico e partecipativo alla socialità, all’avventura e alla sfida dell’antagonismo, che mi han portato anche sulla via dei graffiti”. PROEMBRION, invece, inizia a indagare le potenzialità della realtà aumentata nello spazio urbano durante l’università, mentre lavora alla tesi alla facoltà di architettura: “nel 2011 lavoravo alla mia tesi in architettura, un progetto urbanistico che esplorava le possibilità della realtà aumentata in quest’ambito: avevo questa intuizione, che nel futuro avremmo potuto indossare qualche dispositivo che avrebbe fatto sembrare il panorama cittadino pieno di interventi artistici”, spiega Syruć.

L’arte urbana nasce per rendere la fruizione della cultura più orizzontale, libera e democratica, restituendola alla strada

Attraverso questa tipologia di sperimentazioni, gli artisti possono agire direttamente sullo spazio architettonico preesistente – come nel caso di V3RBO che, insieme al progetto FLxER, e alle prime edizioni di Live Cinema Festival a Roma, indaga il rapporto tra spazio e installazione digitale “aumentando e ‘risemantizzando’ le superfici delle facciate dei palazzi” – oppure progettando “nuovi spazi virtuali partendo da zero, creando spazi completamente lontani dalla realtà”. E questo “è quello che mi interessa di più”, spiega PROEMBRION, “utilizzare la realtà virtuale come una tela bianca, dove puoi creare oggetti senza spessore o sospesi nell’aria, o gif animate. L’unico limite è l’immaginazione”.

V3RBO, ritratto. Courtesy of the artist

L’approccio “da writer”, unito alle tecniche digitali, naviga sulla stessa lunghezza d’onda: sono infatti entrambi ambienti “liberi” – internet e la strada – in cui vige l’anonimato e l’identità può essere riscritta da un nickname. Il senso di questo incontro, per V3RBO, “è sempre stato quello di creare più livelli di comunicazione possibili, dove video e animazione introducevano, rispetto al writing, una narrazione temporale punk e irriverente, e una vibrazione luminosa elettrica glitchy, che aumenta l’attrazione visiva, in luoghi della notte che da “oscuri” letteralmente si animavano”.

L’arte urbana nasce per rendere la fruizione della cultura più orizzontale, libera e democratica, restituendola alla strada e abolendo il “biglietto d’ingresso”; allo stesso modo, il digitale abbatte le “barriere all’entrata”. Ma quando si tratta di accessibilità, quella digitale è più o meno in grado di arrivare al pubblico? Sorprendentemente, il phygital – la commistione tra opera fisica e digitale – sembra il modo più efficace per coinvolgere lo spettatore: “solo con questa tecnica multimediale”, come quella che troviamo in mostra a Treviso, che prevede VR, installazioni video e opere su supporti tradizionali, spiega V3RBO, “ho potuto trasportare il pubblico nella totalità delle mie produzioni, immergendo l’utente in un luogo abbandonato dove ho dipinto realmente ma aumentato dai miei ‘metabugs’ con estetiche da videogioco ‘low poly’. Perché l’attitudine del writer è simile all’impresa dell’eroe di un videogioco. Adrenalina e escogitare soluzioni creative come risposta al boss di fine livello”.

V3RBO, installazione VR per la mostra In My Name, Treviso, 2024. Foto di Elena Pescarolo

In conclusione, sebbene i confini della creatività si siano notevolmente estesi e i punti di contatto tra street arte e arte digitale siano numerosi, quelli sollevati dalle nuove tecnologie “non sono concetti nuovi”, sottolinea V3RBO, “anzi, ce li tramandiamo da sempre, ad esempio nel mito di Efesto. Quello che però sta succedendo oggi è l’esperienza fisica quotidiana legata alla tecnologia odierna, dove internet è specchio della coscienza globale, dove la separazione tra luogo fisico e luogo della mente è sempre più distante”. Una separazione, quella tra analogico e digitale, che, secondo l’artista, lascia emergere “uno spazio creativo dove ci si può solo che divertire ricongiungendo le parti, per soddisfare il desiderio odierno di concretezza, una fame impellente, in questo buco dato dallo strappo sociale tra chi surfa il digitale e chi ancora lo vede come uno tsunami. Del resto i writer sono i primi custodi dei bassi fondi della polis, quindi mi sembra naturale rimettere al centro la pancia e le sue funzioni metaboliche facendo dialogare la rete neurale digitale e la discarica della società. La missione finale è riportare serenità a questo effetto distopico iperbolico che esalta o spaventa i più”.

LAURA COCCIOLILLO

È una storica dell’arte specializzata in arte e nuove tecnologie e in estetica dei nuovi media. Dal 2019 collabora con Artribune (di cui attualmente si occupa dei contenuti di nuovi media). Nel 2020 fonda Chiasmo Magazine, rivista indipendente e autofinanziata di Arte Contemporanea. Dal 2023 è web editor per Sky Arte, e dallo stesso anno si prende cura, per art-frame, della rubrica “New Media”, dedicata all’arte digitale.