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EDITORIALE
Le comunità LGBTQIA+ sono state storicamente sottorappresentate nel settore dei videogiochi, che ancora sconta quel decennio che va dalla fine degli anni 80 alla fine degli anni 90 in cui il medium e l’identità stessa di gamer sono stati promossi dalla grande industria come riservati solo a giovani uomini cisgenere e eterosessuali (e, in occidente, bianchi).
In Ghost in the Shell, film d’animazione del 1995 diretto da Mamoru Oshii e basato sull’omonimo manga di Masamune Shirow, il Maggiore Kusanagi si trova spesso a confrontarsi con il suo Ghost, termine che, nell’universo del film, rappresenta quella parte del suo essere che non può essere ridotta alla semplice funzione del corpo o al calcolo delle sue capacità cognitive.
Un modello di intelligenza artificiale ha mostrato i primi barlumi di “risposte emotive” simil-umane. Calma però, non c’è da allarmarsi. Non stiamo parlando del tipo di situazione che prelude a distopie, estinzioni globali o dittature tech schiaviste: perché la prima reazione emotiva mostrata da un prototipo di machine learning è la noia.