Scroll Top

Educazione museale nell’era digitale

di Beatrice Rainone

Nel percorso professionale di un’educatrice o di educatore museale prima o poi capita di doversi confrontare, magari nel corso di una visita guidata, con opere digitali, crypto o frutto di un processo algoritmico. Che siano TTI (text-to-image) riconducibili all’intelligenza artificiale o “semplici” NFT la questione da porsi è sempre la solita: come introdurle al fruitore?

È necessario premettere che ogni informazione che l’educatore fornisce debba essere necessariamente diversificata secondo il tipo di target di gruppo o visitatore singolo con cui si interfaccia. Va inoltre detto che è caso comune che il fruitore non abbia mai avuto modo di interfacciarsi con opere di questo genere e che quel poco che ne conosce sia spesso legato a un pregiudizio negativo, se non apocalittico (le AI ci sostituiranno!). Ogni innovazione artistica e tecnologica, dalla fotografia alla tessitura col telaio Jacquard, si è in qualche modo dovuta scontrare col riserbo della società. È compito dell’educatore accogliere questo timore e comprendere le perplessità del nostro interlocutore, così da poterle riutilizzare come spunti di riflessione della discussione.

Museum education in the digital age. © Midjourney

Per quanto riguarda i bambini o alcuni pubblici legati all’accessibilità, il loro interesse non è volto tanto al processo tecnico-creativo quanto alla rappresentazione posta davanti ai propri occhi. E di conseguenza alla serie di suggestioni e narrazioni che l’opera porta in sé.

Può inoltre capitare, ed è necessario tenerlo presente, di trovarsi davanti fruitori che conoscono questo “far arte”, e ne sono accesi sostenitori o detrattori. Come per molte branche dell’arte contemporanea, e non solo, il pensiero critico non è mai omogeneo (e menomale!). L’educatore deve quindi adoperarsi per poter fornire al visitatore gli strumenti per costruire autonomamente questo senso critico, ad esempio introducendo i termini di questo “meta-linguaggio”, spiegando con semplicità e fornendo esempi di ciò di cui si sta parlando. La finalità non è mai convincere chi abbiamo di fronte del notevolissimo potenziale creativo o della pochezza artistica dell’opera, ma innestare una serie di riflessioni che principiano all’interno del museo e che col tempo possono essere arricchite e coltivate dalla discussione con l’altro e con l’incontro di altre opere affini.

Come condurre quindi il fruitore a queste narrazioni?

Una spiegazione dell’opera e del suo processo di ideazione sono fondamentali, queste devono essere semplici e ogni termine specifico esplicato con chiarezza, così che chi abbiamo davanti possa a sua volta acquisire proprietà di questo linguaggio.

Ogni innovazione artistica e tecnologica, dalla fotografia alla tessitura col telaio Jacquard, si è in qualche modo dovuta scontrare col riserbo della società.

Fino a qui tutto chiaro, ma prima di ammorbare i nostri interlocutori con il classico “spiegone”, un approccio necessario è quello dell’osservazione autonoma o guidata. Questa pratica permette di prendere visione delle principali componenti dell’opera, del quadro generale, del dettaglio e -perché no – delle sensazioni e suggestioni che proietta sull’osservatore. In questo modo si può instaurare una discussione ricca di narrazioni e sensibilità personali senza ancor aver citato AI e affini.

Ciò che è centrale nell’educazione museale è proprio l’opera e questa è posta al centro dell’interesse perché legata all’incontro e a un’esperienza condivisa col fruitore. Che sia un capolavoro rinascimentale, un NFT o la restituzione del machine learning, essa interagisce con chi la osserva senza bisogno di parole e senza bisogno, almeno inizialmente, di spiegazioni. Il ruolo dell’educatore è mediare tra il polo di ciò che è osservato e di chi osserva, solo a seguito di questa osservazione può essere instaurata una prima discussione in libertà, nella quale all’educatore è lecito intervenire arricchendo la conversazione con dati tecnici, creativi, storico-artistici, economici ecc.

Come condurre quindi la narrazione di queste opere? Allo stesso modo di qualsiasi altra branca artistica.
L’opera parla, sempre, per noi e prima di noi.

Beatrice Rainone

Classe 1999, è un’ educatrice e mediatrice museale. Laureata in Storia dell’arte all’Università degli studi di Firenze con una tesi sul concetto di riproducibilità nella crypto-arte, attualmente lavora in diverse istituzioni culturali della Toscana, tra cui Fondazione Palazzo Strozzi, Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Fondazione Pistoia Musei, Museo del Tessuto.