Dietro alla filosofia di VAIA: dalla circolarità al know-how degli artigiani locali
di Alessandro Mancini
Chiunque sia stato sulle Dolomiti negli ultimi anni avrà notato la presenza di moltissimi alberi secchi, in mezzo a foreste dove una volta regnava ininterrotto il colore verde.
A causare la morte di tutti questi alberi è il bostrico, un coleottero che si insinua sotto la corteccia degli abeti rossi, bloccando il flusso di linfa vitale e causandone così la morte nell’arco di poco tempo. A favorire il proliferare dei coleotteri è stata la tempesta Vaia, che alla fine di ottobre 2018 ha messo in ginocchio le Dolomiti venete, alto-atesine e friulane, distruggendo 41 mila ettari di foreste e abbattendo decine di milioni di alberi. Per giorni, strade, sentieri e interi paesi rimasero bloccati e isolati, mentre i danni economici furono stimati in circa tre miliardi di euro.
Con la perdita di una quantità così importante di alberi, il territorio divenne più fragile e vulnerabile ad altri eventi climatici estremi, oltre che, appunto, all’ingresso di specie aliene, come il bostrico.I danni dell’infestazione dei bostrichi sommata a quelli di Vaia sarebbero enormi: secondo quanto emerso dall’ultimo Congresso della Società Italiana di Selvicoltura e Ecologia Forestale, la superficie interessata da entrambi fenomeni è due volte quella del Lago di Garda. Per fortuna, però, non tutto il male vien per nuocere. A seguito della devastazione, infatti, sono nati diversi progetti locali di sensibilizzazione e rigenerazione del territorio, oltre che iniziative di recupero del legno degli alberi abbattuti dalla furia del vento. VAIA, startup e B Corp italiana, è una di queste. Fondata nel 2019, VAIA – come dice il nome stesso – nasce come reazione proattiva all’omonima tempesta da un’idea di tre giovani imprenditori. La startup, premiata da Forbes nel 2020 e inserita nella lista dei 100 giovani leader del futuro, realizza oggetti e accessori in legno, implementando un modello di business innovativo, attento non solo al profitto, ma anche alle esigenze del territorio e della comunità.
L’intelligenza creativa, il senso di comunità, l’impiego della tecnologia e del sapere umano sono tutti elementi che possono concorrere a ristabilire un equilibrio tra attività antropiche ed ecosistemi naturali, sempre più minacciati dallo sfruttamento e dalla bramosità dell’uomo
“Ho un legame molto forte con le Dolomiti – racconta Federico Stefani, co-founder di VAIA – passavo tutte le estati nel bosco e adesso che quel bosco dove sono cresciuto non c’è più. Sono contento di contribuire in qualche modo a risanare questa ferita”.
Come? Unendo il business alla sostenibilità.
Il primo prodotto lanciato sul mercato è stato VAIA Cube, un amplificatore naturale di suoni per smartphone, che funziona quindi senza l’utilizzo di rete elettrica. A seguire è arrivato VAIA Focus, l’amplificatore di schermo per smartphone, che unisce tecnica, tradizione e design. Attraverso la vendita di questo oggetto, la start up italiana ha deciso di contribuire attivamente allo studio e alla salvaguardia dei ghiacciai alpini. Fino ad oggi hanno recuperato 4000 mq di teli geotessili che ricoprono il ghiacciaio Presena durante i mesi estivi, trasformandoli nel tessuto protettivo di VAIA Focus; hanno sostenuto la ricerca scientifica e la divulgazione sullo stato dei ghiacciai con Ice Memory, progetto internazionale finanziato dal CNR e dalla Università Ca’ Foscari, e riconosciuto dall’Unesco; hanno contribuito alla pulizia di dieci ghiacciai alpini con il progetto Summit Foundation. Tutti i prodotti ideati da VAIA sono creati da artigiani locali. Fino ad oggi, sono 12 gli artigiani coinvolti nel progetto che utilizzano il legno di abete recuperato proprio dagli alberi abbattuti dalla tempesta. In totale, sono 250 mila le tonnellate di legno recuperato.
L’aspetto estetico non è secondario nei prodotti VAIA: “Io vengo dal mondo del teatro e per me l’arte è un elemento fondamentale – spiega il founder – attraverso la bellezza, il design e l’arte, infatti, si può creare un senso di appartenenza comune e si possono ispirare le persone. Per questo, puntiamo molto anche sull’estetica e sul design del prodotto, non solo sulla funzionalità. Il potere dell’arte sta tutto qui: è inutile ma allo stesso tempo è assolutamente necessaria”.
Quest’anno VAIA compie cinque anni e per l’occasione, il 21 settembre scorso a Base Tuono, Folgaria (TN), si è tenuto un grande evento – La Foresta degli Innovatori, arrivato alla terza edizione – proprio in mezzo alle tante amate foreste. L’evento è servito anche a festeggiare un altro grande traguardo raggiunto da VAIA in questi anni: i circa 100 mila alberi piantati nelle Dolomiti. Per ogni oggetto venduto, infatti, l’azienda pianta un nuovo albero nelle zone che sono state duramente colpite dalla tempesta nel 2018. Un modello di business sostenibile, circolare e ‘rigenerativo’, possibile anche grazie alla community che segue e sostiene VAIA, composta da più di 100 mila persone.
“Mi piaceva l’idea che gli oggetti che le persone usano nella loro quotidianità potessero portare con sé energia. Solo unendo i puntini che sono apparentemente lontani possiamo dare un senso alle cose – continua Stefani – così se la materia prima che è il legno costituisce una risorsa (di recupero) e gli artigiani che lavorano nei luoghi delle comunità montane sono un’altra una risorsa (filiera locale), la capacità creativa della mia azienda poteva diventare il trait d’union di questi puntini. A questo, ho sommato l’idea che non è possibile pensare al futuro, se non investi nelle persone”.
Squadra, team, comunità. Sono questi i termini con cui VAIA definisce il proprio sito, a dimostrazione della centralità che l’aspetto sociale e di vicinanza al territorio e alle persone che lo abitano rivestono nella filosofia alla base della giovane startup italiana.
“Il lavoro di VAIA consiste nel ritrovare quell’armonia perduta tra uomo e natura, che metta in conto anche l’esistenza inevitabile di fenomeni naturali inaspettati o estremi. L’intelligenza creativa, il senso di comunità, l’impiego della tecnologia e del sapere umano – oltre che l’adozione di un’economia di tipo circolare – sono tutti elementi che possono concorrere a ristabilire un equilibrio tra attività antropiche ed ecosistemi naturali, sempre più minacciati dallo sfruttamento e dalla bramosità dell’uomo”.
Alessandro Mancini
Laureato in Editoria e Scrittura all’Università La Sapienza di Roma, è giornalista freelance, content creator e social media manager. Tra il 2018 e il 2020 è stato direttore editoriale della rivista online che ha fondato nel 2016, Artwave.it, specializzata in arte e cultura contemporanea. Scrive e parla soprattutto di arte contemporanea, lavoro, disuguaglianze e diritti sociali.