Spazio urbano e spazio virtuale possono coesistere? E come può il digitale ridisegnare le strade, le architetture, le facciate dei palazzi? C’è un punto di incontro sorprendente e sottovalutato, tra le tecnologie immersive e l’arte urbana: nelle mani degli street artist, infatti, realtà virtuale e aumentata diventano strumenti in grado di ampliare esponenzialmente il raggio creativo dell’artista, svincolato da ogni legge della fisica (e dalle leggi burocratiche). Così, gli street artist, che per primi si erano riappropriati dello spazio urbano, diventano anche i primi a “colonizzare” e navigare lo spazio virtuale, nuova frontiera dello spazio pubblico.
Immaginatevi di trovarvi in Italia negli anni sessanta: nel pieno del suo fiorire, l’economia vola, l’industria brilla come mai era successo, i nostri marchi conquistano il mondo, e il mondo scopre la bellezza del made in Italy. Sono gli anni in cui le immagini di Mastroianni girate da Federico Fellini diventano il simbolo della bella vita e della bellezza in generale, gli anni in cui la Vespa diventa un simbolo di libertà, gli anni in cui Olivetti inventa di fatto le prime macchine calcolatrici domestiche, antesignane dei personal computer.
Difficilmente il tema dei diritti alle donne e dell’uguaglianza di genere, oramai ampiamente sdoganato anche con modalità non sempre appropriate e linguaggi talvolta discutibili, viene affrontato da artiste contemporanee, forse per il timore di cadere nella retorica o di non sapere approcciarsi in modo efficace ad una tematica che ancora oggi provoca domande. L’arte ha tuttavia il compito di leggere il reale e re-interpretarlo con codici espressivi individuali, a volte anche con il rischio di urtare il pensiero comune.
Immagina di poter viaggiare nel tempo e di visitare le antiche grotte buddiste di Mogao a Dunhuang all’epoca del loro splendore, percorrendo assieme a mercanti e pellegrini la Via della Seta raccontata ne Il Milione di Marco Polo. Da tempo questo non più è fantascienza. La visita alle grotte di Mogao, uno dei siti buddisti più importanti in Cina, inizia con un’esperienza video immersiva che porta i visitatori al tempo dei grandi commerci lungo la Via della Seta, secoli in cui l’oasi di Dunhuang nella regione del Gansu era un crocevia di culture e merci provenienti dall’Asia Centrale.
Il corpo disteso lungo le curve morbide di una seduta circolare, gli occhi guardano avanti e poi su e ancora a destra e sinistra, per provare a non perdersi nessuna immagine e nessuna scritta delle animazioni rapide e rumorose che ricoprono il soffitto a cupola del planetario. Si ha la sensazione di familiarità, punzecchiata da un desiderio latente di estraneità, mentre immagini tratte dalla cultura popolare compaiono e scompaiono penetrando l’inconscio, all’interno della prima delle due opere immersive che l’artista Guerreiro do Divino Amor ha realizzato per il padiglione della Svizzera alla sessantesima edizione della Biennale arte di Venezia, curato da Andrea Bellini.