Martedì scorso Mark Zuckerberg, amministratore delegato di Meta, ha annunciato la fine del programma di fact-checking su Facebook e Instagram. Al suo posto, ha dichiarato, verrà introdotto un sistema di “Community Notes” già sperimentato su X (l’ex Twitter) sotto la guida di Elon Musk. Questa decisione, circoscritta per ora agli Stati Uniti, ha immediatamente attirato il plauso di Donald Trump e del suo entourage, segnando quello che molti osservatori considerano un vero e proprio riallineamento ideologico tra Meta e il neo-eletto presidente americano.
Non molto tempo fa, un caso ha portato all’attenzione pubblica il potenziale impatto negativo dei chatbot. Due genitori hanno denunciato un’azienda AI dopo che l’interazione con uno di essi avrebbe indotto i loro figli a immaginare e discutere dei piani per ucciderli. La vicenda è senza dubbio inquietante, ma è anche lecito supporre che un comportamento simile possa riflettere dinamiche familiari e sociali preesistenti – un dubbio che pare non sia passato per la mente dei due genitori.
Breve storia dello spirito del tempo, o di come le “vibes” sono passate dall’essere il linguaggio emozionale di una comunità affiatata all’alimentare un’intera economia.
Un modello di intelligenza artificiale ha mostrato i primi barlumi di “risposte emotive” simil-umane. Calma però, non c’è da allarmarsi. Non stiamo parlando del tipo di situazione che prelude a distopie, estinzioni globali o dittature tech schiaviste: perché la prima reazione emotiva mostrata da un prototipo di machine learning è la noia.
Un modello di intelligenza artificiale ha mostrato i primi barlumi di “risposte emotive” simil-umane. Calma però, non c’è da allarmarsi. Non stiamo parlando del tipo di situazione che prelude a distopie, estinzioni globali o dittature tech schiaviste: perché la prima reazione emotiva mostrata da un prototipo di machine learning è la noia.
Uscire dalla pandemia è stato come svegliarsi in un’altra epoca. Improvvisamente ciascuno di noi ha avuto a disposizione intelligenze artificiali capaci di risolvere problemi complessi, generare immagini di ogni tipo o persino scrivere e interpretare canzoni.
Un modello di intelligenza artificiale ha mostrato i primi barlumi di “risposte emotive” simil-umane. Calma però, non c’è da allarmarsi. Non stiamo parlando del tipo di situazione che prelude a distopie, estinzioni globali o dittature tech schiaviste: perché la prima reazione emotiva mostrata da un prototipo di machine learning è la noia.
Le arti numeriche, spesso chiamate anche arti digitali, comprendono tutte quelle forme d’arte create o presentate tramite tecnologie digitali.
Questo termine include una vasta gamma di pratiche artistiche, caratterizzate dall’uso di strumenti e tecnologie informatiche per la loro realizzazione, manipolazione e fruizione.
Nel percorso professionale di un’educatrice o di educatore museale prima o poi capita di doversi confrontare, magari nel corso di una visita guidata, con opere digitali, crypto o frutto di un processo algoritmico. Che siano TTI (text-to-image) riconducibili all’intelligenza artificiale o “semplici” NFT la questione da porsi è sempre la solita: come introdurle al fruitore?
Nato come musicista e batterista, Max Magaldi, classe 1982, è oggi un artista affermato nel campo della digital art e non solo. Dal 2018 ha iniziato a sperimentare azioni performative digitali che mescolano musica, arte contemporanea e hackeraggio sui social network, oltre ad aver sviluppato il concetto di murale sonoro. Ha realizzato sonorizzazioni e installazioni ha realizzato installazioni sia in Italia che all’estero, in paesi come Francia, Grecia e Arabia Saudita. Ha collaborato con artisti di fama come Edoardo Tresoldi, Gonzalo Borondo, Studio Azzurro e Andrea Villa.