Cao Fei: l’artista che racconta il lato distopico della digitalizzazione
di Camilla Fatticcioni
Il futuro della digitalizzazione è distopico e già molto vicino. Almeno questa è la visione dell’artista multimediale cinese Cao Fei (Guangzhou, 1978). Per Cao Fei l’arte non è solamente uno strumento sociale, ma veste anche un ruolo profetico. Nei suoi film e nelle sue installazioni, l’artista mescola commenti sociali, estetica popolare e riferimenti al surrealismo: le sue opere riflettono i rapidi cambiamenti in atto nella società cinese di oggi, compresi quelli portati dal rapido sviluppo digitale visto negli ultimi venti anni.
Nata nel contesto delle Quattro Modernizzazioni di Deng Xiao Ping, l’artista concentra la sua produzione artistica sull’analisi del rapido sviluppo industriale ed economico cinese. Lavorando con strumenti digitali, video art, realtà aumentata e realtà virtuale, Cao Fei sviscera le conseguenze sociali legate al veloce progresso tecnologico, con un occhio critico capace di mettere lo spettatore davanti ad una silenziosa ed invisibile visione distopica del presente. L’artista parla molto spesso di alienazione dei lavoratori, come nell’opera video Whose Utopia del 2006, uno dei suoi lavori più celebri, ma sfrutta la tecnologia a suo favore per indagare i limiti della società digitale. In Whose Utopia, Cao Fei ha filmato la vita quotidiana in una fabbrica di lampadine, evidenziando i compiti meccanizzati svolti dai dipendenti, intervistandoli anche sulle motivazioni che li spingono a lavorare lì. L’alienazione resta una tematica centrale nell’indagine artistica di Cao Fei, che negli ultimi anni si è concentrata a ricercare gli effetti della digitalizzazione nella nostra società.
Ha però raggiunto la fama internazionale per aver costruito una “Gotham city” virtuale chiamata RMB City (2006-2011) su Second Life, la famosa comunità di mondo virtuale lanciata nel 2003 in cui è possibile acquistare proprietà, sposarsi e avviare attività commerciali attraverso uno pseudonimo digitale. Cao Fei ha operato in Second Life attraverso l’avatar China Tracey. RMB City è un agglomerato insulare composto da un ammasso di souvenir e immagini di repertorio che Cao Fei descrive come una “incarnazione condensata delle città cinesi contemporanee”, completa di ciminiere, statue di Mao, container e centri commerciali. Cao Fei ha documentato la città con una vasta gamma di mezzi, da video e guide virtuali a una produzione teatrale su Second Life.
Negli ultimi anni Cao Fei si è dedicata allo studio dei cambiamenti del quartiere di Hongxia, nella periferia di Pechino, con il progetto “HX” durato quattro anni di ricerche meticolose condotte dall’artista e dal suo team. “HX” abbraccia una prospettiva a lente d’ingrandimento per rivelare la storia ricca e complessa di un quartiere in rapida trasformazione. Così facendo, l’artista riesce a (ri)raccontare e (ri)immaginare il passato, il presente e il futuro di una comunità in continuo mutamento, che si muove tra le correnti della nostra società urbanizzata e globalizzata. Al centro del progetto c’è il teatro di Hongxia, costruito durante un periodo di intenso sviluppo industriale a cavallo tra gli anni ‘40 e ‘60, alimentato dall’assistenza degli alleati comunisti nell’ URSS. Proprio in quegli anni il quartiere rurale si è trasformato in pochissimo tempo in un conglomerato di infrastrutture industriali essenziali alla storia dello sviluppo dell’elettronica. Fu proprio qui che venne inventato il primo computer cinese.
Cao Fei sviscera le conseguenze sociali legate al veloce progresso tecnologico, con un occhio critico capace di mettere lo spettatore davanti ad una silenziosa ed invisibile visione distopica del presente
Nel progetto HX, Cao Fei veste i panni dell’archeologa digitale e propone versioni diverse della storia di Hongxia, come ad esempio avviene per il film Nova (2019). Il fascino di Cao Fei per le relazioni sino-sovietiche e l’eredità dell’influenza russa in Cina è stato stimolato proprio dalla storia del teatro di Hongxia, e ripreso all’interno del lungometraggio Nova con la struggente storia d’amore trauno scienziato cinese ed una scienziata Russa, protagonisti di una ricerca segreta condotta da una società di ingegneria informatica immaginaria. L’obiettivo è quello di trasformare gli esseri umani in un mezzo di intercettazione digitale, ma durante un esperimento, lo scienziato cinese intrappola il proprio figlio all’interno del cyberspazio. Ormai un’anima digitale bloccata in un universo di solitudine, il ragazzo vaga senza via d’uscita pagando a sue spese il prezzo della ricerca tecnologica. Sempre attorno alla storia del Hongxia Theatre, Cao Fei ha progettato l’esperienza di realtà virtule Eternal Wave (2020) dove l’artista stessa invita lo spettatore a esplorare gli spazi del proprio studio nel vecchio teatro.
La solitudine e l’alienazione sono l’altra faccia della medaglia dell’ insaziabile corsa verso il progresso tecnologico e digitale. Il lavoro di Cao Fei è un crescendo distopico, dove le opere multimediali rivelano il lato più “disumano” delle nostre esistenze, caratteristica che potrebbe eventualmente potarci un giorno a diventare degli zombie, come accade nel film Haze and Fog del 2014. Cao Fei descrive la sua Cina ed il grigiore delle periferie industriali di Pechino, dove la vita tra le mura degli appartamenti diventa un susseguirsi di azioni insensate, spinte dalla noia e dalla apatia dei protagonisti.
L’artista si concentra sulle persone appartenenti alla classe media cinese, descritte come figure che vagano attraverso un “nebbiosa” modernità, tra le loro celle domestiche popolate da baby-sitter, agenti immobiliari, donne delle pulizie, prostitute e fattorini. Quello che probabilmente Cao Fei cerca di dirci è che tutti abbiamo la mente offuscata dai miracoli della modernizzazione, ma in realtà sentiamo il costante bisogno di sentirci vivi e di vedere in modo più chiaro il percorso confuso delle nostre esistenze.
Camilla Fatticcioni
Studiosa di Cina e fotografa. Dopo la laurea in lingua Cinese all’università Ca’ Foscari di Venezia, Camilla ha vissuto in Cina dal 2016 al 2020. Nel 2017 inizia un master in Storia dell’Arte alla China Academy of Art di Hangzhou interessandosi di archeologia e laureandosi nel 2021 con una tesi sull’iconografia Buddista delle grotte di Mogao a Dunhuang. Combinando la sua passione per l’arte e la fotografia con lo studio della società contemporanea Cinese, Camilla collabora con alcune riviste e cura per China Files la rubrica Chinoiserie.