Arte Programmata, Cinetica, Generativa. Storia di un lungo viaggio
di Claudio Francesconi
Immaginatevi di trovarvi in Italia negli anni sessanta: nel pieno del suo fiorire, l’economia vola, l’industria brilla come mai era successo, i nostri marchi conquistano il mondo, e il mondo scopre la bellezza del made in Italy. Sono gli anni in cui le immagini di Mastroianni girate da Federico Fellini diventano il simbolo della bella vita e della bellezza in generale, gli anni in cui la Vespa diventa un simbolo di libertà, gli anni in cui Olivetti inventa di fatto le prime macchine calcolatrici domestiche, antesignane dei personal computer. Ed è proprio presso la sede della Olivetti, nella Galleria Vittorio Emanuele a Milano che viene prodotta la prima mostra di Arte cinetica e programmata sotto la curatela di Bruno Munari e Giorgio Soavi.
In un mondo dell’arte che era abituato al figurativo o, al più, alle avanguardie più o meno concettuali che si andavano sviluppando con forza, la mostra sull’Arte programmata crea grande curiosità, tra l’apprezzamento di taluni e il disappunto di molti altri. Quello che si proponeva in questo nuovo ed eccitante contesto era una nuova e rivoluzionaria concezione dell’opera: “l’opera aperta”.
Il concetto di “opera aperta”, teorizzato da Umberto Eco nel suo omonimo saggio del 1962, è fondamentale per comprendere l’Arte cinetica e programmata. Eco definiva l’opera aperta come un’opera d’arte che non è conclusa e definitiva, ma che richiede l’interazione del pubblico per essere completata. Questo concetto si sposa perfettamente con le intenzioni degli artisti cinetici e programmati che progettavano opere in grado di evolversi nel tempo e di rispondere agli stimoli esterni. Nella grande mostra alla Olivetti questi concetti sembravano creare una nuova forma di interazione coi visitatori che, ammaliati, scorrevano le opere dei Boriani, Costa, Biasi, Colombo etc.
Gli artisti in questione provenivano dai gruppi che in quel tempo si stavano formando nelle città di Padova e Milano, in particolare il Gruppo T e il Gruppo N, ma una certa considerazione merita anche il Gruppo MID il cui membro Antonio Barrese è ancora oggi un attivissimo artista in ambito cinetico.
La nuova concezione dell’opera segnava dunque il cambiamento di un paradigma che era stato in qualche modo immutabile per secoli: la sacralità della dinamica opera-spettatore veniva violata e tra i due soggetti nasceva un’interazione cangiante, una danza percettiva del processo di fruizione della creatività. Colore, forma, spazio divenivano variabili soggettive del contesto esperienziale, le opere erano fresche e coinvolgenti come mai erano sembrate prima di allora.
Tutto intorno c’era un mondo che si svegliava dalla fatica e il dolore che i conflitti mondiali avevano provocato. Tuttavia questi strascichi avevano creato una grande voglia di rinascita ed un forte entusiasmo nei confronti della scienza che stava incontrando i suoi nuovi strabilianti orizzonti e della tecnologia che per la prima volta nella storia dell’uomo stava entrando in maniera decisa nella vita quotidiana di tutti con le piccole grandi rivoluzioni che via via cambiavano il modo di stare in società e, in definitiva, il modo di vivere delle persone. Come si può facilmente intuire, in un mondo in cui il televisore entrava piano piano nelle case di tutti, anche l’arte si trovava di fronte a questo vento di cambiamento e gli artisti si sentivano sempre più attratti dallo sperimentare quello che le nuove tecnologie stavano offrendo.
Negli stessi anni intanto, da qualche parte nel mondo, qualcuno ebbe l’idea assurda e strabiliante di stravolgere il processo creativo che fino ad allora era sempre stato di competenza dell’uomo: dalla pittura alla scultura, dal collage alla performance. L’uomo era sempre stato il creatore dell’opera d’arte per come la si conosceva fino a che non sbocciarono le prime forme di Arte generativa. L’idea era quella che l’opera potesse nascere dall’azione di una macchina tale che il processo creativo fosse sostanzialmente un atto automatico in cui l’uomo non aveva alcun ruolo, se non quello di predisporre la macchina prima della creazione. Le prime forme di Arte generativa erano legate più che altro a macchinari di uso comunemente scientifico, e i primi artisti generativi provenivano per tale motivo dal mondo della ricerca scientifica e di laboratorio.
Arte e scienza, che per lunghi secoli si erano fatte battaglia, erano dunque giunte ad una piacevole forma di matrimonio: l’uomo creativo ed emotivo si era unito all’uomo razionale e calcolatore, ciò che ne scaturiva era una forma d’arte completamente nuova in cui l’uomo non era più il protagonista unico ed indiscusso ma doveva condividere la propria gloria con l’elemento tecnologico, la macchina.
Ovviamente gli anni Sessanta furono importantissimi anche per l’avvento di una serie di strumenti che da quel momento in poi sarebbero diventati sempre più centrali nella storia e nella vita dell’uomo, i computer. L’informatica creò una nuova e violenta ondata di sviluppo tecnologico che, come è facile intuire, andò ad impattare in maniera considerevole in tutte le fasi della quotidianità, ed inaspettatamente influenzò anche il mondo dell’arte dando vita a nuovi ed interessanti percorsi di Arte generativa in cui gli artisti utilizzavano i calcolatori per produrre le opere d’arte e da quel momento i protagonisti divennero loro: gli algoritmi.
Chi è appassionato di arte e tecnologia conosce forse le prime sperimentazioni di computer art, il primo nome che viene alla mente è quello della straordinaria artista ungherese Vera Molnar, considerata la prima vera computer-artist della storia. Ovviamente questo tipo di sperimentazioni, che certamente non passarono alla storia per la loro forza espressiva o per il loro impatto lirico, non destarono particolare entusiasmo all’epoca ma irruppero immediatamente all’attenzione dei più attenti ai cambiamenti e all’avvento dei pionieri delle nuove discipline.
Il tempo passava e la tecnologia diveniva sempre più flessibile, malleabile e sempre più amichevole nel suo utilizzo. Se inizialmente utilizzare queste macchine era di fatto un’operazione complessa che richiedeva l’accesso a laboratori e centri di ricerca, sempre più le cose stavano cambiando e questi strumenti assumevano un aspetto più casalingo e più gestibile nel quotidiano, oltre che più economico. I circuiti elettrici divenivano circuiti elettronici, i computer che venivano programmati a schede iniziavano ad avere i primi hard disk e gli algoritmi degli artisti generativi divenivano via via sempre più sfiziosi e il loro output visivo sempre più gradevole.
Nel raccontare questo intervallo temporale che dura pochi decenni e che vede lo sviluppo tecnologico diventare forse l’elemento interpretativo centrale dei cambiamenti della società, risulta un’operazione quasi naturale il constatare quanto l’arte fosse a sua volta influenzata da questi grandi cambiamenti. L’Arte cinetica e programmata e l’Arte generativa furono due facce della stessa medaglia, racconti paralleli di un mondo che poneva sempre più l’uomo al centro dell’universo, una sorta di nuovo rinascimento tecnologico che irrompeva con arroganza e consapevolezza alla ricerca di nuove forme di lirismo intellettuale e di racconto creativo. L’uomo e il codice avevano iniziato il proprio viaggio insieme.
Molti erano gli elementi comuni alle due forme d’arte: pensiamo ad esempio alla dinamicità, sia nell’Arte generativa, sia nell’Arte programmata e ovviamente soprattutto nell’Arte cinetica, l’opera perde il proprio aspetto immanente a cui in qualche modo eravamo stati legati fino ad allora. Pensiamo all’uso della tecnologia in cui entrambi i movimenti fanno un uso intensivo della tecnologia disponibile al loro tempo. L’Arte cinetica sfrutta meccanismi fisici e motori, mentre l’Arte generativa utilizza circuiti, algoritmi e software in ultima istanza.
L’uomo programma la macchina che programma lo strumento che produce l’opera, l’uomo è creatore del creatore, se vogliamo, diventa dunque un creatore di artisti.
Gli sviluppi più recenti di arte e tecnologia hanno portato poi alla nascita di una vera e propria forma d’arte legata all’informatica: l’Arte digitale. Con l’avvento della blockchain e degli NFT (Non-Fungible Tokens), l’Arte digitale ha raggiunto una nuova fase di evoluzione. Gli NFT permettono di creare opere d’arte digitali uniche e verificabili che possono essere scambiate su piattaforme decentralizzate. Questo sviluppo ha portato a una democratizzazione dell’arte, permettendo agli artisti di vendere le loro opere direttamente ai collezionisti senza intermediari. Gli NFT hanno trovato una perfetta sinergia con l’Arte generativa. Artisti come Tyler Hobbs hanno utilizzato gli algoritmi per creare opere d’arte uniche, registrate come NFT sulla blockchain. Questo approccio consente di combinare l’unicità e la variabilità dell’Arte generativa con la tracciabilità e la proprietà garantite dalla tecnologia blockchain.
Se vediamo tutto questo percorso nel suo insieme, possiamo tracciare una linea ideale che collega le prime sperimentazioni d’Arte cinetica a tutto lo sviluppo che l’arte ha avuto successivamente legandosi al mondo della tecnica e della tecnologia, l’Arte digitale ne è di fatto l’esemplificazione più recente e forse più estrema, ma l’approccio è sostanzialmente lo stesso così come l’idea che sta dietro a tutto questo lungo viaggio. L’arte è un qualcosa di dinamico e mutevole che si lega alle leggi percettive del nostro quotidiano, l’arte è una traccia di mistero che scorre tra i codici nascosti delle leggi fisiche del mondo che ci circonda, nell’orbita di un atomo, nel viaggio breve e veloce di un fotone, nella molecola di silicio, primitivo tassello di sostanza digitale.
Ovviamente quello che viviamo oggi, con l’avvento delle nuove tecnologie di AI (Artificial Intelligence), ha prodotto una vera e propria esasperazione dei concetti che abbiamo appena analizzato tanto che oggi ci si chiede se veramente ha ancora senso parlare di arte quando un’opera viene realizzata da una macchina. Del resto, la capacità creativa degli algoritmi sta diventando sconcertante e il processo creativo si sta allontanando sempre più dalla mera imitazione di quello che l’uomo ha già prodotto. L’uomo programma la macchina che programma lo strumento che produce l’opera, l’uomo è creatore del creatore, se vogliamo, diventa dunque un creatore di artisti.
In conclusione, vedendo questa volta tutto questo viaggio dal punto di vista di chi l’arte la vive e la sperimenta come spettatore, possiamo dire che l’indefinibilità dell’opera trova un suo accorato controcanto nella sorpresa e nello stupore di quanto l’uomo sia capace di trovare e creare sempre nuove forme di creatività. Da quando, stanco per la caccia, pizzicava il proprio arco addormentandosi di fronte al fuoco, fino ad arrivare alle forme più estreme e smaterializzate di creatività con algoritmi creati da altri algoritmi istruiti da programmatori creativi, in fondo c’è sempre lui, sapiente investigatore dei codici del mondo, come in alto, così in basso.
CLAUDIO FRANCESCONI
Dopo gli studi in ingegneria del software ha iniziato a lavorare nel campo della grafica pubblicitaria e cinematografica come operatore di post-produzione ed effetti speciali collaborando a importanti progetti a Londra.
Parallelamente alla sua carriera professionale nel settore multimediale e della scienza dei dati, nel 2006 ha aperto la sua prima galleria d’arte, Gestalt Gallery, a Pietrasanta. Nel corso di oltre 10 anni la galleria ha ospitato numerose mostre di successo sia in galleria che in spazi pubblici presentando maestri rinomati e lanciando artisti emergenti con grande successo e visibilità mediatica.
Nel 2017, Gestalt Gallery si è trasformata in Futura Art Gallery intraprendendo un percorso artistico più ambizioso, incentrato sull’arte storica di genere minimalista, cinetico e geometrico, accanto a mostre di artisti contemporanei emergenti.
Dal 2017 al 2020 è stato rappresentante dei galleristi dell’area di Pietrasanta all’interno dell’Associazione Nazionale Gallerie (ANGAMC).
Nel 2020 è diventato responsabile del digitale per la rivista ARTEiN, poi diventata AW ArtMag.
Dal 2021 si occupa di NFT e Cryptoart, creando la più grande comunità italiana di NFT su Facebook (NFT Italia), poi estesa ad altre piattaforme di social media.
Dal 2022 è responsabile del dipartimento NFT e Digital Asset della Casa d’Aste Pandolfini, la più grande e antica casa d’aste in Italia. Attualmente sta organizzando la seconda asta NFT. Il dipartimento NFT di Pandolfini è il primo del suo genere in Italia.
Nel 2022 è stato invitato a testimoniare davanti alla Commissione Cultura della Camera dei Deputati in qualità di esperto del settore dell’arte NFT per discutere le relative problematiche.
Dal 2022 è il curatore capo del collettivo artistico Bottega, che riunisce diverse decine di artisti NFT italiani di alto livello.