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Luigi Mangione è finito in un videogioco

di Matteo Lupetti

Nel détournement videoludico yuri lowell prints a gun di Flan Falacci (2025) esploriamo un ambiente tridimensionale dove si alternano scene del videogioco fantasy giapponese Tales of Vesperia (Namco Bandai Games, 2008), recuperate da video pubblicati su YouTube, e immagini, brani di articoli, meme e post su social media riguardanti Luigi Mangione, arrestato come principale sospettato dell’omicidio di Brian Thompson, CEO della multinazionale di assicurazioni sanitarie UnitedHealthcare ucciso il 4 dicembre 2024 a New York City con, a quanto pare, una pistola stampata in 3D.

Mangione, diventato online un eroe popolare, avrebbe voluto punire Thompson per le politiche di UnitedHealthCare e delle altre compagnie di assicurazioni sanitarie statunitensi, che cercano di rimandare e negare il più possibile i pagamenti alle persone in difficoltà. Nell’opera di Falacci, la vicenda di Mangione e Thompson risuona con una sottotrama di Tales of Vesperia in cui il protagonista Yuri Lowell, capito che la giustizia ordinaria non sarebbe mai riuscita a punire (e non avrebbe mai voluto punire) uno degli antagonisti del videogioco, il capitano Alexander von Cumore, decide di agire da solo, uccidendolo.

Yuri Lowell prints a gun (Flan, 2025)

In yuri lowell prints a gun mondo fisico, sua rappresentazione mediale e mondo virtuale cozzano in un collage di ready-made digitali, di video, immagini e modelli tridimensionali pre-esistenti e che continuano a portarsi dietro contesti e significati originali. Tales of Vesperia viene ricontestualizzato, mentre il supporto popolare a Mangione viene inserito all’interno di una più ampia discussione sulla violenza come strumento politico. yuri lowell prints a gun è un “plundercore“, un videogioco costruito riutilizzando in modo spesso sovversivo asset (elementi audiovisivi) e parti di altri videogiochi soprattutto commerciali. “Sembra che ci siano molte persone che fanno giochi in questo stile, pare di trovarci di fronte a un nuova tendenza, a un movimento o a qualcosa del genere, con molti esponenti che penso provengano dallo NYU Game Center” ci scrive lo sviluppatore JohnLee Cooper, che oltre a realizzare plundercore cura una raccolta dedicata a questa tendenza sulla piattaforma online itch.io. “L’arte liberata dalle leggi sul diritto d’autore getta nuova luce su vecchie opere, arriva in luoghi dove non oserebbero addentrarsi le compagnie originali. Sposta anche l’attenzione sui materiali che costituiscono un gioco, rivelando la sua natura di opera mixed media, e ti permette di concentrarti davvero su modelli 3D e superfici”.

L’arte liberata dalle leggi sul diritto d’autore getta nuova luce su vecchie opere, arriva in luoghi dove non oserebbero addentrarsi le compagnie originali. Sposta anche l’attenzione sui materiali che costituiscono un gioco, rivelando la sua natura di opera mixed media, e ti permette di concentrarti davvero su modelli 3D e superfici

Strettamente legati ai plundercore sono i plunderludics, videogiochi creati non solo con asset provenienti da altri videogiochi, ma proprio con il loro codice. I videogiochi originali vengono modificati oppure emulati (in sostanza, fatti girare) all’interno della nuova opera, mescolati ad altri videogiochi o a loro elementi. “Per quanto riguarda i plunderludics, li vedo come un’estensione dell’approprazione dei personaggi [nei plundercore] fino all’approprazione dei videogiochi (e dei giochi) stessi” ci scrive Gustavo “mut/moochi” Ceci Guimarães, che è l’ideatore delle due espressioni plundercore e plunderludics, derivate da plunderphonics, la musica composta campionando brani già esistenti e riconoscibili (to plunder vuol dire saccheggiare).

Mut è parte insieme a Gurn Group e Johnny Hopkins del plunderludics working group, un collettivo dedicato ai plunderludics e intento a sviluppare software appositi per la loro realizzazione come UnityHawks, strumento per integrare l’emulatore BizHawk, un programma capace di far girare su computer videogiochi di vecchie console, all’interno di Unity, popolare set di strumenti di sviluppo per videogiochi, per facilitare la creazione di opere digitali che interagiscano con videogiochi già esistenti. Il plunderludics working group organizza anche eventi in uno spazio fisico, Boshi’s Place a Brooklyn, e proprio per uno di questi eventi (Year of Luigi, 18 gennaio 2025, con inaugurazione il 17) Falacci ha sviluppato yuri lowell prints a gun.

I détournement videoludici di plundercore e plunderludics possono avere scopi diversi, più o meno politici: straniamento, satira, reinterpretazione di elementi comunque già presenti (magari sottotraccia) nelle opere originali, critica e, soprattutto per quanto riguarda i plunderludics, occasione di studio di meccaniche e interazioni. Per esempio, il plunderludics Water Level/b.l.u.e. EXPLORATION di Hatim “hatimb00” Benhsain è un saggio poetico e giocabile incentrato sul videogioco b.l.u.e.: Legend of Water di CAProductio e Hudson Soft Company (1998), emulato all’interno della nuova opera grazie agli strumenti sviluppati dal plunderludics working group e mixato con asset di altri giochi, testi e canzoni, tra cui Drowned World/Substitute of Love di Madonna. Il risultato è un collage videoludico che non solo introduce il pubblico occidentale a b.l.u.e.: Legend of Water, originariamente pubblicato solo in Giappone, ma che si espande in un viaggio lisergico nella rappresentazione dei mondi acquatici.

Pacman Quine (Mut, 2021)

Anche se solo di recente hanno cominciato a essere definite e studiate come tendenze più ampie, queste pratiche di riutilizzo di videogiochi commerciali esistenti per crearne di nuovi hanno una storia piuttosto lunga. Già nel 2013 vengono pubblicati due videogiochi che oggi potremmo definire proto-plundercore e che sono molto influenti sul movimento, with all my heart di donnytuplis e Bubsy 3D: Bubsy Visits the James Turrell Retrospective di Arcane Kids. E lo stesso plunderludics working group elenca tra i plunderludics le mod, le diffuse modifiche non ufficiali che vengono realizzate su videogiochi commerciali a volte tirandone fuori opere totalmente nuove. Più in generale, fare giochi partendo da altri giochi rientra nel concetto di “metagaming” investigato da Patrick LeMieux e Stephanie Boluk in Metagaming: Playing, Competing, Spectating, Cheating, Trading, Making, and Breaking Videogames (University of Minnesota Press, 2017), centrale nello sviluppo del movimento dei plunderludics.

I metagames, metagiochi, sono appunto giochi costruiti su altri giochi. Ma, secondo LeMieux e Boluk, in realtà “i metagiochi sono l’unico tipo di gioco che giochiamo” [“metagames are the only kind of games that we play”]. Ogni gioco è infatti situato in un contesto che lo influenza e lo modifica, creandoci sopra il metagioco che alla fine noi effettivamente giochiamo, e ogni gioco si inserisce in un assemblaggio di agenti umani e non umani diventando parte di sistemi complessi che non è mai possibile conoscere completamente. Il metagaming abbraccia quindi tutto ciò che avviene prima, durante, attorno e dopo il gioco influenzandone l’esperienza: è il gioco non come oggetto ideale ma come pratica svolta in un qui e in un ora.

Water Level b.l.u.e. EXPLORATION (Hatimb00, 2024)

Sin dalla sua nascita negli anni 70 con Pong di Atari (1972), l’industria videoludica ha posto i videogiochi come beni di consumo, come qualcosa da acquistare e appunto consumare in modi specifici rispettando regole fisse per poi passare al prodotto successivo. Alla base di questa privatizzazione del concetto di gioco c’è un inganno: l’industria videoludica ha confuso quelle che vengono chiamate “meccaniche” con le “regole” dei suoi videogiochi. Le meccaniche di un videogioco sono tutti quei processi, definiti da software e hardware, che non possono essere modificati da chi gioca se non modificando software e hardware (per esempio, con operazioni di hacking). Sono processi che non scegliamo volontariamente ma che sono fissati nella materialità del videogioco. Le regole di un gioco, invece, sono convenzioni sociali che accettiamo o rifiutiamo liberamente e volontariamente.

La materialità di un videogioco ne definisce le “affordances”, termine introdotto da James J. Gibson in The Ecological Approach to Visual Perception (Houghton Mifflin, 1979, in italiano L’ approccio ecologico alla percezione visiva, Mimesis, 2014), cioè le cose che il videogioco ci permette di fare. La forma di ogni strumento promuove o scoraggia certi usi. Ma poi quello che ci facciamo, che regole scegliamo di seguire, dipende solo da noi. Svelato l’inganno, ci accorgiamo allora che i videogiochi non sono giochi compiuti: sono strumenti, giocattoli dotati di certe meccaniche/affordances con cui è poi potenzialmente possibile giocare a infiniti giochi diversi (a infiniti metagiochi) inventando infinite nostre diverse regole.

Vedere i videogiochi come strumenti che rendono possibili metagiochi, e non già come giochi fatti e finiti, annulla i confini tra chi il gioco lo fa e chi lo gioca, mostra la storia del videogioco come qualcosa di diverso dalla storia di una fruizione passiva di prodotti che ci arrivano dall’alto. Studiare plundercore, plunderludics e l’intera dimensione del metagioco è allora oggi necessario per capire il videogioco, cioè una parte fondamentale del nostro regime digitale quotidiano, al di là del ciclo capitalistico di produzione e consumo.

Matteo Lupetti

Matteo Lupetti si occupa di critica di arte, arte digitale e videogioco su testate come Artribune e Il Manifesto e all’estero. Ha fatto parte della redazione della rivista radicale menelique e della direzione artistica del festival di narrazioni di realtà Cretecon. Il suo primo libro è “UDO. Guida ai videogiochi nell’Antropocene” (Nuove Sido, Genova, 2023), rilettura del medium videoludico nell’epoca del cambiamento climatico e all’interno dei nuovi percorsi multisciplinari che mettono in primo piano il non umano e la sua agency.

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