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Internet è rotta e tocca a noi riaggiustarla. Il manifesto di Valerio Bassan

di Alessandro Mancini

La promessa originaria di Internet, ossia uno spazio libero e aperto di aggregazione e partecipazione democratica, è stata tradita. È questa la tesi al centro del saggio Riavviare il sistema. Come abbiamo rotto Internet e perché tocca a noi riaggiustarla del giornalista e consulente esperto di media e tecnologia, Valerio Bassan, pubblicato da Chiarelettere nel 2024. 

Nel libro l’autore ricostruisce i processi capitalistici, come la privatizzazione, la gentrificazione e la commercializzazione, che hanno reso Internet un luogo sempre più inabitabile e controllato da pochi grandi attori. Nel corso della suo approfondimento, il giornalista illustra però anche scenari ed esperimenti che fanno sperare in un futuro migliore per la rete, perché “Il futuro non è inevitabile, ma starà a noi fare sì che sia diverso dal recente passato”.

Bassan cura anche una newsletter settimanale, Ellissi, che si occupa di innovazione, media e digitale, che conta oltre 18.000 iscritti. È inoltre condirettore di DIG, il più importante festival europeo dedicato al giornalismo investigativo. 

In questa intervista ripercorriamo assieme a lui alcune delle tappe e delle cause che hanno portato alla rottura del sistema per come lo conoscevamo e le possibili soluzioni per ricostruire un’Internet più sostenibile e più equa, mettendo in discussione gli iniqui modelli di business che governano il web e le nuove tecnologie.

Il libro nasce dall’esigenza di comprendere come le dinamiche economiche di Internet abbiano profondamente influenzato anche settori chiave come il giornalismo, riducendone la sostenibilità e l’indipendenza.

“Il giornalismo è in crisi perché non riesce a sostenersi in un contesto dominato da modelli di business basati sulla raccolta di dati e sulla pubblicità. Approfondendo il tema, mi sono reso conto che il problema è più ampio e riguarda la struttura stessa della rete”, spiega Bassan. 

Secondo l’autore, l’idea iniziale di una rete libera e aperta è stata tradita da tre fattori principali: privatizzazione, commercializzazione e centralizzazione del potere. A partire dagli anni ’90, con l’apertura del mercato di Internet negli Stati Uniti, si è affermata la pubblicità online come principale forma di monetizzazione. “Questa apparente gratuità ha un prezzo nascosto: la nostra attenzione e i nostri dati”, sottolinea Bassan. Le grandi piattaforme tecnologiche hanno plasmato l’ecosistema digitale, creando monopoli che limitano la concorrenza e impongono regole a loro vantaggio. 

Un esempio concreto dell’importanza dell’infrastruttura di rete è il cosiddetto Paquete Semanal a Cuba, una raccolta settimanale di contenuti digitali offline, assemblata da alcuni esuli cubani e distribuita fisicamente sull’isola tramite chiavette USB e hard disk. Questo sistema permette ai cubani di usufruire di contenuti altrimenti inaccessibili a causa della mancanza di una rete veloce e dei costi elevati. “Il caso cubano evidenzia come il controllo dell’infrastruttura fisica della rete, come i cavi sottomarini, sia cruciale: chi li possiede può controllare il flusso di informazioni e influenzare interi paesi”, avverte Bassan.

L’importanza di un’infrastruttura solida e accessibile non riguarda solo paesi come Cuba: anche nei paesi occidentali, il controllo delle grandi aziende sulle reti è un tema sempre più discusso. La diffusione delle reti satellitari, ad esempio, solleva questioni su come l’accesso a Internet possa essere influenzato da interessi privati e dinamiche geopolitiche. La gestione delle infrastrutture da parte di colossi come Meta, Google e Amazon rappresenta un pericolo per la sovranità digitale dei paesi e limita l’accesso equo alla rete.

L’autore utilizza spesso metafore per rendere comprensibili fenomeni complessi. Un esempio è Berlino, città che l’autore ha vissuto durante un periodo di forte trasformazione urbana e tecnologica. “Berlino è diventata un simbolo della gentrificazione digitale: come i quartieri popolari sono stati trasformati dall’arrivo di nuovi residenti benestanti, così Internet è stata monopolizzata da pochi attori economici, rendendo la ‘vita online’ più costosa e meno inclusiva”. A Berlino, le proteste contro Google Street View hanno evidenziato una forte resistenza: molti cittadini hanno chiesto e ottenuto di oscurare le proprie abitazioni dalle mappe digitali. Questo è stato un esempio di resistenza collettiva contro l’invasione della privacy. 

Le analogie tra trasformazioni urbane e digitali non si fermano qui. Bassan evidenzia come la piattaformizzazione abbia cambiato le dinamiche di comunità digitali che una volta erano autonome e libere. Forum indipendenti e blog sono stati gradualmente sostituiti da piattaforme commerciali che monopolizzano l’attenzione degli utenti e definiscono le regole del gioco. “La personalizzazione algoritmica ha trasformato la rete in uno spazio in cui siamo sempre più utenti passivi e meno creatori attivi”, sottolinea l’autore.

La centralizzazione della rete si ripresenta anche nella recente evoluzione del Web 3.0. “Le tecnologie come blockchain, criptovalute e NFT hanno riaperto il dibattito sulla decentralizzazione, ma spesso finiscono per replicare gli errori del passato. Anche nel mondo delle criptovalute ci sono dinamiche di potere che favoriscono chi ha più risorse”, spiega Bassan. I rischi dell’accumulo di potere nelle mani di pochi operatori rimangono alti, e persino alcune promesse di innovazione, come i protocolli decentralizzati, rischiano di essere sfruttate a fini speculativi. 

Le grandi aziende tech continuano intanto a colonizzare le nuove frontiere tecnologiche, come il metaverso e l’intelligenza artificiale. “Il rebranding di Facebook in Meta ne è un esempio lampante: un tentativo di controllare anche il futuro digitale”. La questione dell’IA generativa rappresenta una nuova sfida. Bassan sostiene le potenzialità positive dell’IA, ma invita a non sottovalutarne i rischi. “Molti modelli di IA generativa sono scatole nere, opache agli utenti finali. È essenziale stabilire regole chiare per evitare discriminazioni e garantire la trasparenza”, afferma. La crescente concentrazione del potere tecnologico nelle mani di poche aziende solleva interrogativi sulla responsabilità e sui limiti etici dello sviluppo dell’IA.

"La personalizzazione algoritmica ha trasformato la rete in uno spazio in cui siamo sempre più utenti passivi e meno creatori attivi"

Bassan porta esempi di come l’intelligenza artificiale stia già influenzando il giornalismo, creando contenuti automatizzati ma anche minando il controllo delle fonti e l’accuratezza delle informazioni. “Se lasciamo che gli algoritmi decidano cosa è notizia e cosa non lo è, rischiamo di perdere la diversità di punti di vista”, avverte. Secondo l’autore, non bisogna opporsi al progresso tecnologico, ma occorre gestirlo in maniera responsabile.

Nonostante ciò, l’autore nota un segnale positivo: “Oggi esiste un dibattito più aperto e partecipato su questi temi, il che ci offre l’opportunità di agire prima che sia troppo tardi”.

Bassan sottolinea l’importanza di un approccio collettivo: regolamentare l’IA, promuovere l’innovazione open source e diffondere maggiore consapevolezza tra gli utenti sono passi fondamentali per garantire un futuro digitale più equo. 

L’autore offre anche suggerimenti concreti per abitare la rete in modo più sostenibile. Il primo passo è l’informazione: “Non serve essere esperti per capire come funziona l’infrastruttura di rete e come vengono utilizzati i nostri dati”. Educarsi sui meccanismi di tracciamento e comprendere quali piattaforme raccolgono i nostri dati è fondamentale per fare scelte più consapevoli. 

Il secondo consiglio è adottare strumenti alternativi più etici: “Esistono browser come Brave e Firefox che rispettano maggiormente la privacy degli utenti. Anche modificare le impostazioni delle app per limitare la raccolta di dati è un passo importante”. Evitare i servizi troppo invasivi e adottare soluzioni open source può ridurre il peso delle grandi piattaforme sui nostri dati personali.

Infine, invita alla partecipazione attiva: “Parlarne, leggere libri, unirsi a dibattiti pubblici è fondamentale per costruire una consapevolezza collettiva”. Promuovere un’alfabetizzazione digitale più diffusa significa contribuire a un dibattito pubblico che consideri Internet un bene comune e non solo un mercato di consumo. 

Nel libro, Bassan cita anche la ricerca della politologa Erica Chenoweth, secondo cui ogni rivoluzione ha avuto successo quando almeno il 3,5% della popolazione ha sostenuto il cambiamento. “Non serve che tutti partecipino, ma è sufficiente un numero critico per influenzare le politiche e invertire la rotta”, sottolinea.

L’autore conclude con un appello: “Dobbiamo lasciare alle prossime generazioni un’Internet migliore di quella che abbiamo oggi. La rete è una risorsa preziosa, ma solo se la rendiamo uno spazio più equo e democratico”.

Alessandro Mancini

Laureato in Editoria e Scrittura all’Università La Sapienza di Roma, è giornalista freelance, content creator e social media manager. Tra il 2018 e il 2020 è stato direttore editoriale della rivista online che ha fondato nel 2016, Artwave.it, specializzata in arte e cultura contemporanea. Scrive e parla soprattutto di arte contemporanea, lavoro, disuguaglianze e diritti sociali.

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