Luce, Suono e Spazio: l’esperienza immersiva di NONOTAK ai Videocittà Awards
di Alessandro Mancini
Assistere a una performance di NONOTAK è un’emozione difficile da dimenticare. L’unione di elementi diversi (luci, suoni e spazio) dà vita a un’esperienza visiva e sensoriale gli spettatori unica, immersiva e avvolgente.
Il segreto del successo del duo creativo giapponese, fondato nel 2011, risiede nella complementarietà delle competenze dei due artisti che lo compongono: l’artista visiva Noemi Schipfer e l’artista della luce e del suono Takami Nakamoto. I due fanno tutto in casa: sia i contenuti sonori che quelli visivi sono originali, compresi i contenuti documentali che sono disponibili online come anteprima visiva del loro lavoro. Un sodalizio artistico incredibilmente solido, che non si è mai spezzato nell’arco degli ultimi tredici anni.
NONOTAK lavora generalmente con installazioni luminose e sonore e performance per creare ambienti eterei, immersivi e onirici, costruiti per avvolgere, sfidare e sconvolgere le spettatrici, mettendo insieme l’approccio di Nakamoto allo spazio, alla luce e al suono e l’esperienza di Schipfer con disegni cinetici visivi e geometrici. L’estetica del duo si ispira invece all’architettura minimale e all’arte ottica. Il risultato è appunto un’esperienza irripetibile e coinvolgente.
Sabato 14 dicembre a Roma c’è un’occasione imperdibile per assistere dal vivo al duo creativo. I NONOTAK saranno infatti presenti ai Videocittà Visual Digital Culture Awards, evento dedicato alle eccellenze del mondo dell’arte digitale e audiovisiva, con la AV performance live SHIRO. Quest’anno saranno assegnati 5 premi alle realtà più innovative e ai professionisti più talentuosi del settore, rappresentati in cinque categorie: Creators, Immersive Experience, AV Performance, Videoarte e Next. Per l’occasione, abbiamo fatto due chiacchiere con il duo per conoscere meglio il loro percorso e il processo creativo che si cela dietro ai loro lavori.
“Luce, spazio e suono si integrano in modo piuttosto naturale nelle nostre installazioni – spiega Noemi – I nostri background sono l’architettura e la musica per Tak e l’arte visiva per me. L’idea iniziale della nostra collaborazione era quella di fondere le tre nozioni insieme per farne una sola. La luce è diventata il nostro mezzo principale per il suo aspetto immateriale e il cuore del nostro lavoro è sperimentare questa materia sotto diversi aspetti. Lo spazio, invece, rappresenta il punto di partenza per noi per capire come sviluppare al meglio l’idea all’interno di un determinato contesto. Il suono, infine, ci permette di conferire emozioni al movimento delle luci”.
Per Takami il fatto di lavorare assieme su tutti gli elementi gli permette di “essere multidisciplinari e di passare facilmente dall’allestimento delle installazioni a quello degli spettacoli dal vivo. Mentre lavoriamo sulle installazioni – aggiunge – manteniamo ancora l’aspetto ‘live’ dell’allestimento per poter guardare e sentire l’installazione in tempo reale mentre la programmiamo”. Nel corso della loro carriera i NONOTAK hanno sperimentato in tantissimi settori diversi, tra cui architettura, musica, arti digitali, scenografia, teatro, cinema, danza e moda, riuscendo sempre a mantenere una coerenza stilistica tra i vari progetti. Come?
“Ho sempre ben chiara in mente l’estetica visiva che voglio sviluppare – dice Noemi – La sfida è adattarla a contesti diversi, cogliendone i vantaggi e i limiti per massimizzare l’impatto dell’opera. Inoltre, è divertente poter esplorare e imparare da diversi settori”. Ciò che lega Noemi e Takami è la visione comune: “Abbiamo la fortuna di avere gli stessi obiettivi estetici e la volontà di svilupparli nel corso degli anni. La nostra estetica si adatta a diversi campi ed è abbastanza giocosa da dare spazio alle sperimentazioni”.
Quello dei NONOTAK è un duo artistico che mette insieme competenze e percorsi diversi. Noemi è infatti un’artista visiva, mentre Takami è un artista del suono e della luce e un architetto. Riuscire a unire due mondi così diversi non deve essere stato semplice.
“Abbiamo iniziato a lavorare insieme alla fine del 2011 – racconta Noemi – Quando abbiamo cominciato non pensavamo o non avevamo pianificato che NONOTAK sarebbe diventato il nostro lavoro principale, eravamo solo ossessionati dalla realizzazione della nostra prima installazione audiovisiva. Desideravamo ardentemente creare la nostra prima opera e per raggiungere questo obiettivo abbiamo lavorato sodo, imparando nuovi software, creando modelli in scala ridotta, etc. Una volta che siamo riusciti a presentare la nostra prima installazione al Festival del Mapping e a vederla in scala reale – continua – abbiamo iniziato a lavorare anche a un progetto di performance”. Qui c’è stato il vero salto di qualità: “La realizzazione di una silhouette umana e il background di Takami applicato alla musica hanno aggiunto qualcosa di veramente interessante alla nostra opera. Credo che all’epoca fosse piuttosto raro vedere artisti che facessero installazioni e performance allo stesso tempo. Questo fatto ci ha aiutato a farci conoscere e a inserirci in una serie di festival, mostre ed eventi. Una delle chiavi del nostro successo potrebbe però essere anche il fatto di aver mantenuto sempre la nostra identità”.
"Mentre dieci anni fa, quando abbiamo iniziato, la tecnologia era spesso il soggetto stesso dell'opera d'arte, penso che in futuro la tecnologia diventerà sempre più solo un mezzo e la gente si concentrerà sulla qualità dell'arte stessa ”
Le geometrie e il minimalismo che caratterizzano l’estetica di NONOTAK sembrano riflettere un rigore quasi scientifico, su cui si innestano le emozioni e i sentimenti sprigionati dalla musica e dalla composizione nel suo insieme. “Quando creiamo un’opera d’arte ci piace trovare la complessità nella semplicità – afferma Noemi – Più l’allestimento è semplice, più ci sembra di avere libertà con la possibilità di programmare. Mi sento naturalmente più attratta dalle forme semplici e primarie e credo che questo si rifletta nel nostro lavoro”. Takami conferma che l’ispirazione del loro lavoro viene proprio dalla geometria “sia per progetti completamente visivi sia per progetti cinetici”.
La performance SHIRO, che porteranno ai Videocittà Awards 2024, utilizza ombre, luci e musica techno attraverso quattro schermi semi-trasparenti, coinvolgendo anche i corpi due artisti. Un vero e proprio manifesto del duo creativo.
“L’idea principale del nostro progetto performativo è quella di incorporare le nostre sagome nell’installazione e di renderle parte dell’effetto visivo – spiega Noemi – Il posizionamento specifico dei proiettori, sia davanti che dietro il palco, permette di far apparire e scomparire le nostre sagome dagli schermi. Nella nostra prima performance, LATE SPECULATION, eravamo entrambi all’interno della stessa struttura, mentre in SHIRO abbiamo deciso di essere in aree separate per poter apparire e scomparire separatamente”.
Si tratta di uno dei più grandi allestimenti che abbiano mai realizzato per uno spettacolo dal vivo in tour: “Le possibilità per noi sono infinite, per questo continuiamo ad aggiornare lo spettacolo nel corso degli anni”, aggiunge Takami. Il duo ha fatto utilizzo fin da subito delle tecnologie digitali, ma non crede che queste potranno sostituire l’aspetto umano e creativo delle opere d’arte.
“Mentre dieci anni fa, quando abbiamo iniziato, la tecnologia era spesso il soggetto stesso dell’opera d’arte, penso che in futuro la tecnologia diventerà sempre più solo un mezzo e la gente si concentrerà sulla qualità dell’arte stessa – dichiara Noemi – Quando creiamo un’opera d’arte una delle nostre priorità è nascondere la tecnologia, quindi la possibilità di avere ingranaggi e strumenti sempre più compatti ci aiuterà a raggiungere questo obiettivo più facilmente”.
Takami concorda con la sua socia: “Mi piace il fatto che la tecnologia sia sempre più orientata a diventare un mezzo invece del soggetto: uno strumento che realizza le tue idee e ti permette di concentrarti sulla creazione e sull’esecuzione dell’opera. Credo che il fatto che le persone non si concentrino sugli strumenti che usiamo, ma sull’idea che abbiamo cercato di esprimere attraverso la tecnologia, sia un bene per tutta la cultura artistica”.
Alessandro Mancini
Laureato in Editoria e Scrittura all’Università La Sapienza di Roma, è giornalista freelance, content creator e social media manager. Tra il 2018 e il 2020 è stato direttore editoriale della rivista online che ha fondato nel 2016, Artwave.it, specializzata in arte e cultura contemporanea. Scrive e parla soprattutto di arte contemporanea, lavoro, disuguaglianze e diritti sociali.