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Ecologia cyborg. Ripensare il corpo (e l’umano) nell’era della simbiosi tecnologica

di Laura Cocciolillo

In un mondo reso ostile dall’accelerazione dei processi produttivi e dello sviluppo industriale e digitale, il progresso tecnologico sembra essere non solo la causa della crescente instabilità dell’ambiente, ma anche l’unica possibilità di sopravvivenza. L’agency umana ha modificato irreversibilmente gli ecosistemi, portando al collasso di interi habitat, e in questo processo l’uomo ha modificato anche sé stesso, la propria identità, ibridandosi gradualmente (e a tratti inconsapevolmente) con la tecnologia, al punto che ormai non è più possibile tornare indietro.  Quella che sembra fantascienza è già realtà: il “simbionte umano-tecnologia” è il risultato di un processo che, sfuggito al nostro controllo, resta l’unica opzione per ricostruire il reale.

In questo contesto si inserisce la mostra Bloodchild. Scenes from a Symbiosis, curata dal critico d’arte Domenico Quaranta negli spazi della Fondazione Spazio Vitale a Verona. Visitabile fino al 16 novembre, la rassegna riunisce i lavori di quattro artisti che, con modalità e media diversi tra loro, hanno indagato il “rapporto simbiotico tra uomo e tecnologia, e come questa alleanza sia al contempo funzionale e disfunzionale, porti benefici ma anche sofferenza, potenzi alcuni arti ma ne atrofizzi altri, e richieda una costante rinegoziazione dell’accordo, spiega il curatore. Il titolo stesso, Bloodchild, evoca una fusione organica, carnale, e insieme inquietante: un corpo che si modifica, che accoglie elementi esterni ma che, nel farlo, si trasforma in un ibrido mutante.

Bloodchild. Scenes from a Symbiosis, 2024, installation view, Fondazione Spazio Vitale, Verona Ph. Nicola Morittu

Il tema dell’ecologia emerge come una sottotraccia persistente, intrecciandosi inevitabilmente con le teorie cyborg femministe che hanno caratterizzato la terza ondata del femminismo. Il pensiero eco-critico e le riflessioni sul corpo ibridato, infatti, affondano le proprie radici nel Manifesto Cyborg di Donna Haraway (1991), testo seminale che ha profondamente influenzato la riflessione contemporanea sul corpo, la tecnologia, e il rapporto con la natura, proponendo una rottura radicale con le tradizionali dicotomie tra naturale e artificiale, umano e macchina, maschile e femminile. Il cyborg, una figura ibrida e sovversiva, incarna questa fusione, rifiutando le divisioni binarie tra naturale e tecnologico: l’aspetto nevralgico del superamento della dicotomia tra sintetico e organico, secondo le teorie di Haraway, risiede nel riconoscere come i sistemi tecnologici non siano separabili dalla rete della vita, ma facciano parte di un ecosistema più ampio, in cui l’interazione tra specie, macchine, e ambiente è intrinsecamente collegata.

Nella rassegna, questa prospettiva trova espressione nei lavori di Lynn Hershman Leeson, la cui pratica esplora il confine tra corpo e tecnologia in un’ottica femminista e cyborg. È il caso del film cult Teknolust (2002), con cui l’artista esplora i temi dei sistemi riproduttivi alternativi, altro elemento cardine nella ecocritica femminista di Haraway: nel lungometraggio, la biogenetista Rosetta Stone, interpretata da Tilda Swinton, clona tre versioni di sé stessa inserendo il proprio DNA in un programma di intelligenza artificiale. Qui, la biotecnologia non è solo un mezzo per la riproduzione, ma un veicolo per indagare il potenziale di una fusione tra biologico e tecnologico: il corpo clonato diventa un ecosistema in sé, che interagisce con il mondo naturale e tecnologico, mettendo in discussione la nozione di un “corpo naturale” come distinto e separato dall’ambiente.

Quella che sembra fantascienza è già realtà: il “simbionte umano-tecnologia” è il risultato di un processo che, sfuggito al nostro controllo, resta l’unica opzione per ricostruire il reale.

L’ecologia, nelle teorie cyborg, non riguarda solo la preservazione della natura in senso stretto, ma si estende a una visione post-antropocentrica in cui i confini tra uomo, animale, e macchina si dissolvono. In quest’ottica, il futuro umano – o post-umano – non può più essere pensato come un soggetto separato dal resto dell’ecosistema, ma come parte integrante di una rete complessa di relazioni che includono il tecnologico e il non-umano. All’interno di questa cornice, la simbiosi non è solo una metafora, ma una realtà in divenire, che artisti come Leeson ci spingono ad osservare.

Come sottolinea Quaranta, nel corso dell’esposizione “l’ambiente rimane in qualche modo sullo sfondo, ma il pensiero ecologico fa capolino in quasi tutti i lavori, in forma più o meno trasparente, perché la simbiosi non avviene nel vuoto. Il ripensamento del legame dell’uomo con la tecnologia avviene immancabilmente sia a livello identitario, quindi osservando la modificazione dell’uomo, che a livello ambientale, ovvero indagando le conseguenze e i possibili scenari ecologici a cui l’uomo, a causa della propria influenza sull’ecosistema, dovrà adattarsi (probabilmente, grazie all’ausilio sempre più vitale della tecnologia). Da questi scenari post-umani e, a tratti, post-apocalittici, nascono i “mostri” a metà tra il biologico e il virtuale di Sahej Rahal. È il caso di Druj, un’entità sintetica generativa i cui movimenti sono condizionati dal suono ambientale: una metafora efficace della natura essenzialmente relazionale dell’essere, cha cambia in base alle interazioni con gli altri agenti e con l’ambiente. E infatti, come insegna la teoria quantistica di stampo femminista ed ecologista della fisica Karen Barad, ogni individuo dotato di agency è infatti “co-costituito” reciprocamente (ovvero “prende forma da” e “dà forma a” ciò che lo circonda).

Bloodchild. Scenes from a Symbiosis, 2024, installation view, Fondazione Spazio Vitale, Verona Ph. Nicola Morittu

Troviamo strani esseri (viventi?) – “prostetici”, come li definisce Quaranta – anche nella produzione di Ivana Bašić: è il caso dell’alieno di marmo fragilissimo di Belay My Light, the Ground Is Gone, una scultura che “vive nell’ambiente, non solo perché il suo equilibrio fragilissimo cela in realtà un perenne stato di tensione, ma perché il processo che rappresenta produce scorie (la polvere di marmo) che abitano dinamicamente lo spazio”.

Infine, il lavoro di Oliver Laric ci riporta all’inevitabile interconnessione e intra-azione che regola e lega tutti gli agenti che compongono la realtà, facendoci scendere dall’autoconferito piedistallo dell’antropocentrismo. Il suo Exoskeleton è un video in loop che, attraverso una progressione simile al morphing – ma scandita da un ritmo quasi martellante – passa da una forma naturale all’altra, mostrandoci “come la vita delle forme e la vita biologica siano governate dalle stesse logiche, e trovano la loro continuità in un alternarsi incessante di copie e variazioni, duplicati e scarti, riproduzioni e innesti”, sottolinea Quaranta.

In conclusione, la tecnologia non è un’invenzione estranea ed esterna all’essere umano, ma una continuazione di processi già presenti in natura; d’altro lato, come insegna il teorico dei nuovi media Jussi Parikka, la realtà naturale e biologica è già di per sé intrinsecamente tecnologica, e inoltre tutto ciò che compone la realtà è legato da un rapporto co-costituente, che porta necessariamente al superamento del pensiero dicotomico. La nostra avversione, o lo stupore nel riconoscere la connessione tra organico e sintetico, naturale e artificiale, deriva infatti dalla propensione a pensare in opposizioni binarie, separando ciò che consideriamo naturale da ciò che definiamo artificiale. Riconoscere che la tecnologia è insita nelle forme naturali e che i confini tra questi mondi sono permeabili, ci permette di abbracciare una visione più integrata e fluida della nostra esistenza, dove simbiosi e co-evoluzione diventano le chiavi per affrontare le sfide contemporanee (e future). 

Laura Cocciolillo

È una storica dell’arte specializzata in arte e nuove tecnologie e in estetica dei nuovi media. Dal 2019 collabora con Artribune (di cui attualmente si occupa dei contenuti di nuovi media). Nel 2020 fonda Chiasmo Magazine, rivista indipendente e autofinanziata di Arte Contemporanea. Dal 2023 è web editor per Sky Arte, e dallo stesso anno si prende cura, per art-frame, della rubrica “New Media”, dedicata all’arte digitale.